E’ da poco terminata la seconda stagione di The Rings Of Power, serie TV targata Amazon che riadatta in chiave filmografica le vicende Tolkieniane del Silmarillion. Tra critiche e apprezzamenti, è innegabile quanto Il Signore Degli Anelli e le opere ad esso connesse riescano ancora oggi a catturare l’attenzione di molti, coinvolgendoci in una rappresentazione allegorica dell’umanità che riesce a raccontarci molto bene chi siamo e come funzioniano. La fame di potere, la corruzione della propria morale, la natura sfruttata all’eccesso e l’odio verso il diverso sono solo pochi tra i tanti temi esistenziali che vengono raccontati. Come un grande fiume agitato ti catturano e trasportano con forza, ricordandoti e insegnandoti nuovamente le diverse sfumature del mondo, così che ognuno di noi possa vederle chiare dentro di sé e possa decidere che ruolo avere nell’epoca che stiamo condividendo.
Così, nell’ottava e ultima puntata che chiude la stagione, terminata la battaglia tra gli elfi e gli orchi, il personaggio di Galadriel ci ricorda le parole di Celebrimbor, il più grande dei fabbri elfici e creatore di tutti gli anelli del potere, che “rammenta alla nostra gente che non è la forza a prevalere sull’oscurità, ma la luce”. Il popolo elfico dell’Eregion è infatti rimasto quasi totalmente sterminato dallo scontro. Si riesce a salvare grazie all’intervento finale dei nani, che arrivano in ritardo, ma arrivano. Si palesano quando ormai la speranza in un loro intervento sta svanendo e a suon di fendenti costringono gli orchi alla ritirata. Ma non è davvero la forza combattiva nanica a salvare gli elfi, bensì il legame tra i due popoli, stretto da un patto di fiducia e di rispetto. Il male non si può sconfiggere con il mero potere, va sfoderato il bene.
La costrizione, l’obbligo, la legge, il contenimento non sono l’antidoto al veleno dell’odio: per prendersi cura della rabbia, del rancore e dell’invidia ci vuole l’amore.
Per quanto possa essere smielato questo insegnamento, non si può dire che possa essere considerato scontato. Basta accendere un qualsiasi telegiornale per accertarsi che ad ogni quotidiana espressione di violenza umana, che si tratti dell’ennesimo femminicidio, omicidio o episodio di aggressività o di immoralità giovanile, la risposta politica prevede regolarmente un rassicurante incremento dei presidi delle forze dell’ordine o l’aumento delle pene. La legge serve, ci spiega quali sono i comportamenti accettabili e non accettabili. La reclusione e la polizia pure, contengono le persone quando operano il male. Le punizioni sono un deterrente importante. Ma la terapia curativa dove si trova con esattezza? Come si ripara una volta per tutte il male? Come si riequilibra perlomeno?? Come lo si previene??? Sarebbe bello ogni tanto sentire che invece di finanziare la FORZA, venisse sovvenzionato il BENE. Ma che cos’è il bene in concreto? Come si fa a rimpolparlo? Il bene sono i valori, le virtù, l’affetto. Questi esistono se vengono insegnati, trasmessi. Educare non significa premiare e punire, significa testimoniare valori. E il modo migliore per diffonderli è la cultura, in tutte le sue forme. Dalle narrazioni scritte a quelle pittoriche, da quelle cinematografiche a quelle musicali. Dalle parole ai gesti di mamma e papà e di tutti gli adulti. Dalla loro essenza, non dalla loro apparenza. Così si impara il bene e viene interiorizzato dagli esseri umani. Così carceri e pene diventeranno per lo più superflui. Sarebbe bello che le casse dello Stato venissero utilizzate per promuovere la cultura. Che ad ogni episodio di delinquenza minorile si reagisse inondando il territorio di progetti sportivi, artistici e formativi per l’apprendimento di un lavoro. Si riempissero i teatri di opere gratuite da poter guardare insieme quasi ogni sera. Scuola, educatori, professori, legami
E comunque il sole risplende ancora.
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